Il Ciclo di Hyperion, di Dan Simmons, torna in libreria dai primi di Novembre edito da Fanucci. Mese impegnativo, fra 22/11/63 di King e l’ultimo di Christopher Paolini, che compro solo perché detesto lasciare una saga a metà.
Il primo, comunque, non fatevelo scappare perché è davvero Fantascienza con la A maiuscola.

Origami

Pubblicato: febbraio 15, 2011 in I miei nuovi racconti, Vita quotidiana

Un nuovo racconto scritto qualche giorno fa. Buona lettura.

New Moon, di Stephenie Meyer
Meno di zero, di Bret Easton Ellis
La cosa dei monti Catskill, di Alan Ryan
Uomini che odiano le donne, di Stieg Larsson
La metà oscura, di Stephen King
Le creature del buio, di Stephen King
Hunger Games, di Suzanne Collins
A caccia della bestia da un miliardo di piedi, di Tom Wolfe
Nodo di sangue, di Laurell K. Hamilton
Through the storm, di Lynn Spears

Brutti forse non è il termine adatto. Sottotono, magari, se confrontati ai capolavori del post precedente, con due eccezioni: New moon e Nodo di sangue mi hanno proprio fatto cagare. Non chiedetemi perché li ho letti.
Le creature del buio l’ho abbandonato a pagina 100 con la promessa di riprenderlo più avanti. Non mi era mai successo con un libro di King, però, e questo andava detto. La metà oscura non mi ha fatto impazzire.
Meno di zero è sopravvalutato da morire, anche se resta la voglia di approfondire l’autore.
Uomini che odiano le donne è stato troppo lento a svelarsi, molto meglio da questo punto di vista il seguito, La ragazza che giocava con il fuoco.
Gli altri così così.

In ordine di preferenza:

Il mondo in un tappeto, di Clive Barker
La strada, di Cormac McCarthy
Al di là dei sogni, di Richard Matheson
Hyperion, di Dan Simmons
Il gioco di Ender, di Orson Scott Card
A sangue freddo, di Truman Capote
Amabili resti, di Alice Sebold
Shutter Island, di Dennis Lehane
Il porto degli spiriti, di John Lindqvist
A volte ritornano, di Stephen King

Quattro su dieci letti in formato eBook in quanto impossibili o quasi da reperire (e sia benedetto il Kindle per questo).
Anche quest’anno ho seguito il criterio di scegliere un solo libro per autore. In tal senso sono rimasti fuori dalla mia classifica i pur meritevoli Tre millimetri al giorno di Matheson, La caduta di Hyperion di Simmons, Apocalypse e Cabal di Clive Barker, La storia di Lisey e Notte buia, niente stelle di Stephen King. Non mi sono piaciuti abbastanza Ghosts di Joe Hill e La lettrice bugiarda di Brunonia Barry.
A seguire, nei prossimi giorni, la classifica dei dieci più brutti.

La voce di una intera generazione, il libro d’esordio che ha lanciato il grande Bret Easton Ellis, così mi è stato descritto questo romanzo dal mio docente di Scrittura Creativa prima che mi ci accostassi. Peccato che, nonostante il minimalismo linguistico, il cinismo imperante e la scrittura fluida, qualcosa di più me l’aspettassi.
Il protagonista, Clay, è il classico figlio di papà tutto abbronzatura e occhiali da sole di ritorno in California per le vacanze di Natale dopo un semestre universitario nella East Coast. Ecco, la trama è questa: si passa dalla festa A alla festa B alla festa C, intervallando il tutto con snuff movies, sesso casuale di gruppo e cocaina come se piovesse. Non c’è molto altro, e forse questo è il grande pregio e difetto della storia, perché se lo stile di Ellis è micidiale nel suo essere volutamente scarno, lo stesso non posso dire dei contenuti, ridondanti, che alla lunga stancano. Meno di zero mi ha comunque trasmesso un grande senso di vuoto, una pochezza di sentimenti nelle relazioni umane che fatico a comprendere.
Forse negli anni 80′ e alla luce di quel contesto lo avrei apprezzato di più, ma così è solo un libricino freddo, asettico come i cuori dannati dei personaggi che lo animano, e che si termina in un pomeriggio lasciando comunque, devo ammetterlo, la voglia di approfondire l’autore. Tutto sommato non mi è dispiaciuto, anche se è lontano dall’essere quel cult che mi ero immaginato.

A metà strada fra reportage giornalistico e romanzo, in grado di incollare alla pagina grazie al suo meccanismo narrativo perfetto, A sangue freddo è una lettura obbligatoria per tanti motivi: i contenuti agghiaccianti sviscerati in ogni dettaglio e il modo in cui viene raccontata la vita dei protagonisti, due sciagurati assassini condannati a morte per lo sterminio di una famiglia in Kansas, messa sotto una lente d’ingrandimento spietata e capace di cogliere anche la più piccola sfumatura; la prosa sempre fluida, potente e azzeccata di Truman Capote, la cui abilità è notevole nell’inventare non solo un nuovo genere letterario, ma anche nel mantenere un equilibrio per tutta la durata della storia e restare fuori dalla faccenda senza dare giudizi scontati.
Il lavoro di documentazione, dopotutto, ha spinto l’autore ad andare sul luogo del delitto a studiare il caso per sei lunghi anni, e questo si vede, si legge, si sente nell’amarezza profonda di certi passi, nel modo in cui il cappio si stringe attorno al collo di Perry, nel magone che viene quando ci si ricorda di Nancy e a come sarebbe potuta diventare, e, soprattutto, al mistero insoluto di come si possa porre fine all’esistenza di quattro persone innocenti con tanta ferocia, per un bottino di soli quaranta dollari.
A sangue freddo è la storia di una storia che non sarebbe dovuta accadere, è la freddezza di una mente omicida che non vuol sentire ragioni, è l’ultimo giorno di vita di una famiglia nel tranquillo abitato di Holcomb. E’ il cordoglio nel guardare quattro lapidi in terra.
A sangue freddo ti smuove qualcosa dentro. Se volete sapere cosa, andate in libreria e scopritelo.

… poi David Foster Wallace. Ora Truman Capote e il suo A sangue freddo. In futuro penso proprio che passerò a Philip Roth e Don De Lillo. Devo dire che mi-si-è-aperto-un-mondo. Se conoscete altri grandi autori americani contemporanei da consigliare, sono tutto occhi.

Cento di questi giorni e un grazie. Grazie per le tue storie. Grazie per le emozioni, i brividi, i sudori freddi. Grazie per le risposte che troviamo leggendo i tuoi libri. Grazie per Pennywise, Annie Wilkes e Randall Flagg. Grazie per i tramonti che tremano d’orrore e la tua incredibile, spietata capacità di sondare l’animo umano come nessun altro è mai stato in grado. Grazie per esserti spinto là dove nessuno osa. Grazie per la speranza, la passione e il talento che pregna ogni tua pagina. Grazie Maestro.

Dopo la Lost-delusione sono tornato in Sicilia per le vacanze, e non avendo internet ho passato le maggior parte delle mie serate a fare due cose: leggere e guardare serie tv. Per quanto riguarda i libri mi sono buttato a capofitto sulla fantascienza, genere che avevo trascurato e che mi ha dato grosse soddisfazioni. Il gioco di Ender di Orson Scott Card e il Ciclo di Hyperion di Dan Simmons si candidano non solo come migliori letture estive, ma dell’intero anno.
Sul fronte serial: avevo iniziato a guardare Fringe, ma poi qualcosa mi ha fatto desistere. Sono fermo all’ottava puntata e nonostante le idee carine e i continui richiami a X-Files e Ai confini della realtà la storia non mi prende e i protagonisti non mi convincono. Fatico a credere che dietro questo format ci siano le stesse menti di Lost. Insomma, pathos zero e ritmo non pervenuto.
Così sono passato ad altro e due nuove serie mi hanno colpito da morire: True Blood e Dollhouse. Il primo, lo ammetto, ho iniziato a seguirlo pieno di pregiudizi. D’altronde io con i vampiri ho un rapporto contorto. Quando mi sono reso conto però che la serie è ben fatta, è stato l’inizio dell’amore e della dipendenza dal V. La storia è semplice ma non risulta mai troppo banale o demente come in Twilight, e i vampiri sono affiancati da altre creature sovrannaturali come licantropi, mutaforma e strane dee cornute. L’atmosfera della Louisiana decadente, con le sue paludi, i villaggi di case dal legno ammuffito e i predicatori di colore è intrigante e gestita senza sbavature. In poco meno di venti giorni sono già alla fine della seconda stagione e fremo per vedere la terza. Volevo leggere i libri della Harris da cui è stata tratta, ma mi sono stati sconsigliati.
Di Dollhouse avevo sentito parlare molto bene un po’ ovunque. Mi piaceva l’idea di queste persone che scelgono di loro spontanea volontà di sottoporsi al trattamento, un’operazione che permette di azzerare la memoria cerebrale come fosse una tabula rasa per poi farsi riprogrammare secondo gli scopi per cui sono state richieste. Eliza Dushku nella parte di Echo è perfetta e ogni puntata ha spunti diversi. Mi spiace solo che sia una serie nata morta, come Flashforward, in quanto lo show è stato cancellato dopo appena due stagioni a causa degli ascolti bassi. Lo vedrò fino alla fine, questo è sicuro, come è sicuro che sto contando i giorni che mi separano dalla seconda stagione di Glee, in arrivo a fine Settembre.
A chi mi legge vorrei chiedere: avete qualche telefilm da consigliare? Cosa ne pensate di Heroes? Vale la pena seguirlo per quattro stagioni?
Buon settembre a tutti.

Il ciclo di Hyperion parte da premesse semplici: la razza umana, dopo aver abbandonato Vecchia Terra a causa di un disastro, il Grande Sbaglio, ha colonizzato più di duecento pianeti, governati dall’Egemonia e chiamati Rete dei Mondi. I miliardi di abitanti si spostano usando le tecnologie più svariate: Criofuga a bordo di navi dotate di motori Hawking e Teleporter capaci di spostare la materia da un punto all’altro della galassia istantaneamente. A riempire il vuoto fra una stella e l’altra vi è Hyperion, cuore della saga, uno dei nove mondi labirinto e luogo dove molti sono i misteri da svelare, perché lì abita lo Shrike, una creatura dai poteri sconfinati in grado di manipolare le maree del tempo e minacciare la vita così come la si conosce. Ispirata in parte ai Canterbury Tales e in parte ai lavori dello stesso Keats da cui questo romanzo prende il nome, la vicenda inizia in medias res, con uno sparuto gruppo di pellegrini che racconta ognuno la propria storia e le circostanze che li hanno portati sul pianeta. A fare da cornice, in questo capolavoro della fantascienza, regna sovrana la fantasia dell’autore nel ricreare un universo variegato, sempre plausibile, di un fascino unico e magnetico.
Una terra di mezzo tra le stelle, senza esagerare.
Dal sovraffollamento di Tau Ceti Centro ai boschi di Garden, dagli abissi di Mare Infinitum alle lande desertiche di Hebron passando per i ghiacci perenni di Sol Draconis Septem e gli alveari ad alta gravità di Lusus, il background imbastito dall’autore è totale e totalizzante, così come tale è l’empatia che si prova nei confronti dei protagonisti, ora umani, ora cibridi, impegnati loro malgrado in un disegno oscuro che vede coinvolti gli Ouster e le intelligenze artificiali che abitano il Nucleo.
I racconti sono favolosi, danno spunti di riflessione sulla religione, la sociologia, la natura stessa della guerra e della vita in un modo sempre diverso, spaziando dal punto di vista dei personaggi, i cui destini si incastrano in un continuo gioco di rimandi, citazioni e approfondimenti che rendono impossibile staccarsi dalle pagine.
C’è tutto, in Hyperion: la coralità di un’ambientazione come non si era mai vista, approfondita e studiata magistralmente in ogni sua parte, guerre intergalattiche e lunghe traversate spaziali, combattimenti all’arma bianca, splendide descrizioni di mondi alieni, croci e crocimorfi, isole che si spostano e delfini che comunicano, l’amore che lega un padre alla figlia affetta da una malattia incurabile, la passione di un soldato per una donna che è pura illusione, la vendetta che muove un’investigatrice per la perdita della persona cara. Sopra ogni cosa, prima ancora dello stile eccelso, del successo di critica e pubblico coronato dall’attribuzione del premio Hugo, della facilità con cui Dan Simmons proietta il lettore a viaggiare lassù, negli astri, di Hyperion resta impressa la malinconia di fondo, il mormorio sommesso di una civiltà che non è stata in grado di reinventarsi nonostante il progresso, i debiti temporali e gli anni luce macinati, e che guarda alle stelle con gli occhi inconsolabili di chi non ha più il suo pianeta natale. Un capolavoro non solo nel suo genere, che tiene testa tanto a Dune quanto agli intricati universi di Asimov, che dimostra come una storia debba essere scritta, e che a fine lettura non lascia altro che invidia nei confronti di chi deve ancora intraprendere questo viaggio meraviglioso. Ed è forse scontato dire che, una volta iniziato, tornare indietro non sarà più possibile perché dopo Hyperion niente di quello che leggerete sarà alla sua altezza.